BRUTTE NOTIZIE E NUOVI PROGETTI

Come avevo promesso su FB.
Dunque, volevo aspettare l’uscita del catalogo 2011 dove non ci sarebbe stato il mio libro, ma, dopotutto, perché aspettare?
La brutta notizia è… che Kizu no Unmei non sarà pubblicato. I miei rapporti con Casini si sono bruscamente e definitivamente interrotti, per cui non vedranno la luce i successivi volumi della serie Ryukoku Monogatari. Almeno per ora. Già, perché non ho perso tempo e mi sto già muovendo per cercare un nuovo editore che si prenda in carico la serie in modo definitivo.
Resterà in circolazione Kizu no Kuma, ma per il resto spero di darvi quanto prima notizie migliori.
 
Detto questo, passiamo invece ai nuovi progetti. Perché se qualcuno pensava che me ne sarei stata a piangermi addosso, beh… ha pensato male.
Mi sono subito rimessa all’opera.
C’è un progetto antologico da portare avanti, che sta procedendo assai bene, anche grazie alle autrici che hanno voluto collaborare con me, e di cui vi parlerò diffusamente nel corso del prossimo anno. C’è poi un progetto “under costruction” che reputo molto interessante e che considero una prova importante per me e la mia scrittura. In entrambi i casi devo dire “grazie” all’editore che mi sta dando queste possibilità d’espressione e di cui… ancora, vi parlerò diffusamente man mano che le cose si andranno a concretizzare.
In tutto questo, ho iniziato a scrivere un nuovo romanzo, non orientale, che procede a vele spiegate, che mi sta divertendo, entusiasmando e sfidando a ogni passo. Spero di finirlo in tempi piuttosto brevi, dato che gli sto dedicando buona parte del mio impegno.
Oltre a ciò, attendo ormai i risultati del concorso “Vampiri” di Satisfiction e ho inviato due racconti al concorso “Nella Tela!”. Ringrazio Linda Rando per aver prorogato la scadenza del concorso “Urban Gods”, al quale voglio assolutamente partecipare, e ci sono almeno altri tre racconti che voglio mandarle per lo “Yurutsuki”. Spero di riuscire inoltre a partecipare con un racconto al concorso “Steampunk” promosso da Short Stories.
Attendo inoltre la conferma per la pubblicazione di qualche altro racconto, per cui, direi che le cose continuano ad andare avanti bene lo stesso.
I progetti su cui lavorare non mancano e nei prossimi mesi spero di poter mettere la parola fine ad alcuni di questi romanzi singoli che giacciono da tempo nel mio pc.

AGGIORNAMENTI

Ok, lo so, Bickham dice che non si deve parlare dei propri personaggi o dei propri scritti, ma… che noia! Bickham a volte è davvero un uomo pesante! (NdR: Jack Bickham è l’autore del manuale Come scrivere un racconto. Un sergente di ferro della scrittura)
Quindi ho tutta l’intenzione di raccontarvi un po’ come vanno le cose, oltre i quotidiani aggiornamenti su FB.
Dunque, Kizu no Unmei procede a vele spiegate. Sono contenta e soddisfatta. I miei schemi dicono che sono a buon punto. Lo penso anche io. Il capitolo 23 è in via di definizione, quindi… banzai!
Sono contenta, va tutto come previsto e credo proprio che sarò nei termini. Insomma, alzarsi tutte le mattine alle 7.00 per lavorarci sta dando i suoi frutti e nel frattempo mi tengo anche in costante esercizio con i racconti e partecipando ai concorsi.
Ne ho selezionati alcuni e mi sto adoperandosi per essi.
Ovviamente procede la stesura dei racconti orientali per il concorso Yurutsuki; un concorso che, al di là di tutto, mi ha dato tanto a livello di stimoli alla scrittura, grazie al quale ho sperimentato un sacco di cose nuove e divertenti e mi sono messa alla prova con diversi aspetti della mitologia giapponese. Ma ho anche scovato online altre interessanti iniziative e mi sono lanciata nella scrittura di un racconto che…
Ok, mi sta appassionando.
Il tema del concorso sono i Vampiri, così mi sono messa a pensare a una storia di vampiri da poter raccontare in un numero limitato di battute. Pensa e ripensa, chiedi anche consiglio qua e là, avevo avuto un paio di idee (banali, lo so). Poi però… mia sorella mi ha mandato un file (mia sorella ultimamente mi sta aiutando con delle trovate interessanti!) dove si raccontava la storia di un vampiro giapponese…
Per la serie: piatto ricco, mi ci ficco!
Letta la storia, rielaborato il concetto, ho imbastito una storia tutta mia. E, cosa più importante, ho creato un personaggio che mi piace un casino!
In realtà è da quando ho visto Ninja Assassin che rimuginavo attorno a un personaggio di questo tipo. Per cui, arruolato l’attore, ho creato Kurosaki Yamamura (detto Sasaki o Kuro-san), il bocciolo oscuro del villaggio montano.
Il mio ragazzo adorabile, che se ne va in giro in jeans, t-shit, fly-jacket nera… e katana sulle spalle ad ammazzare demoni, vampiri, creature infernali di vario tipo, basta che sia ben pagato. E tutto questo in una Tokyo oscura e uggiosa che sembra la sorella orientale di Gotham City.
Senza famiglia e con pochi amici, come si addice ai veri eroi oscuri. Addestrato da un monaco dai misterioso poteri, ex affiliato alla Yakuza (la mafia giapponese) come sicario e assolutamente imbattibile quando estrae la sua letale Onisetsumaru, la spada ammazza-demoni.
Me lo sono fatto proprio bello e incazzoso il mio giocattolino!
Tant’è che per adesso ci scrivo un racconto e provo anche l’ambientazione che mi serve pure per un’altra cosa, ma non è detto che lo lasci morire così… è troppo un bel personaggio per non ricamarci sopra.
Quante cose si possono far fare a un cacciatore di demoni orientale, un po’ ninja, un po’ samurai, in una Tokyo futuristica e un po’ post apocalittica?
Infinite!
E io sono come una bambina la parco giochi. Perché, a dirla tutta, prima o poi ci dovevo arrivare.
Sì, lo so… le dietrologie, le retrospettive, e analisi… che palle! Di solito le faccio leggendo tutta la bibliografia di altri, ma ogni tanto mi faccio un po’ di autoanalisi, che non fa mai male. E a guardare certe cose mie recenti (che voi non avete visto), beh, sembra naturale che approdassi proprio lì, a Kurosaki. Ma non solo vagliando le cose orientali, anche dando una scorsa alle altre faccende meno… strane. Tutto sommato c’è tutto un percorso che da Chariza arriva a Kurosaki. Era un po’ giravo attorno alla figura di un cacciatore di demoni (e non perché stia ancora cercando di vedere la terza stagione di Supernatural!) perché c’è tutto questo mondo magico e fantastico della mitologia orientale, ma poi ci sono anche tante commistioni con la cultura occidentale… insomma, i giapponesi se ne fregano di pescare a piene mani in un immaginario che non è il loro. Insomma, input, input! Sono stata bombardata da input! Avevo voglia di muovermi in una città e non negli spazi aperti dello Si-hai-pai, avevo voglia di provare a scrivere di un luogo reale e non solo verosimile (e, dopotutto, Tokyo è come una città fatta coi lego… se la smontano e se la rimontano come vogliono loro, perché non posso farlo anche io? Tanto più che ho una bellissima cartina che mi aiuta a orientarmi), avevo voglia di vedere cosa succedeva mettendo insieme la mia passione per l’oriente con la mia curiosità per lo urban fantasy. E, soprattutto, avevo voglia di NON scrivere un romanzo, di non progettare una storia lunga, di non scrivere una solo storia, ma avere di nuovo per le mani un personaggio che potesse vivere molto storie, perché io AMO la dimensione del racconto, anche del racconto in serie (perché in realtà adoro anime e telefilm e ho una mentalità da “serie tv”).
La brevità. Mai creduto di non essere prolissa, invece pare che abbia il dono della sintesi. E in effetti a me piacciono le storie “dritte”, come dico io, le fucilate, più che le lente agonie o le lunghe cavalcate. Per cui mentre ho 80000 cose da fare mi tengo in un cantuccio questo personaggio carino, carino con cui ho tutta l’intenzione di giocare ancora.
Non è nemmeno escluso che se mi metta a giocare seriamente con Kurosaki non decida di pubblicare qualcosa online. Perché non è che tutto quello che si scrive deve per forza finire in un libro. A volte mi va solo di provare a vedere cosa succede se metto in scena un personaggio, un luogo o una situazione, e poi è bello mettere il tutto alla prova dei lettori.

UN NUOVO MODELLO CUI ASPIRARE

Ci sono autori (in realtà autrici) di cui leggo non solo i libri, ma anche prefazioni, postfazioni, note… e leggendo questi apparati correlati al testo mi sembra di poter quasi ascoltare i loro consigli o le loro piccole riflessioni.
Una donna che per me è stata molto importante, si sa, è Marion Zimmer Bradley. Non tanto quella dei romanzi, ma quella delle Antologie, proprio perché nelle sue prefazioni, sulle sue presentazioni dei racconti, spiegava come e perché aveva scelto un racconto piuttosto che un altro, come aveva immaginato di impostare l’antologia prima che nascesse, cosa aveva chiesto ai suoi autori e come questi avevano risposto… Insomma, erano una piccola finestra aperta sulla Marion Zimmer Bradley editor e ricercatrice di talenti. I suoi consigli, quelli che riportava come dati ai suoi scrittori, sono stati il mio primo manuale di scrittura creativa. E ancora oggi, ogni tanto, rileggo qualcuno di quei passaggi, che ho conservato, perché è come chiedere consiglio a una maestra e ricevere sempre la risposta migliore.
Ma, a parte Tolstoj, nel tempo si sono aggiunte altre voci alla mia personale schiera di grandi idoli.
Inutile dire che Nahoko Uehashi è tra questi. E non nascondo di aver pianto quando ho letto la postfazione a Moribito perché mi sono ritrovata in tante delle cose che lei ha scritto in quelle poche pagine. Se avessi potuto porle delle domande quelle sarebbero state le risposte. Se avessi potuto confrontarmi con lei, con quelle parole ne sarei uscita rinfrancata. È la forza di una comunicazione che sta parlando a tanti eppure che arriva dritta a ogni singolo lettore. Ho sempre trovato straordinario come una donna lontanissima da me per età e cultura, oltre che geograficamente, potesse dirmi, in una postfazione, esattamente quello che mi aspettavo di sentire. Se fossi stata in Giappone credo che sarei andata da lei e le avrei umilmente chiesto di farmi da sensei.
E oggi credo di aver trovato un altro modello femminile da seguire, un’altra donna che sta dall’altro capo del mondo eppure che dice cose che mi spronano a non abbattermi e che fa cose, che scrive testi che arrivano in tutto il mondo, che mi sono d’esempio. Questa donna è Carole Wilkinson, autrice di romanzi per ragazzi, alcuni molto particolari perché ambientati in Cina e in Egitto. Autrice di recente tradotta anche in Italia con il suo La Custode del Drago, edito da Baldini Castoldi Dalai.
Incuriosita da questo romanzo, che ho subito acquistato, sono andata a visitare il suo blog e ho letto un post ( http://www.carolewilkinson.com.au/news/2
008/11/26/this-is-why/ ) che mi ha veramente commossa e colpita.
Forse perché è arrivato in un momento di sconforto e leggere certe parole dette da un’autrice che viene tradotto in buona parte del mondo mi ha davvero spronata. Mi sono detta “segui il suo esempio, ha ragione da vendere”.
This is Why… Questo è il motivo… non ha parlato di target, non ha parlato di vendite, non ha parlato di programmi editoriali, non ha parlato di calcoli. Ha parlato solo di cuore, di passione, di voglia di narrare. Credere che una storia vada scritta solo perché vale la pena che vanga narrata, indipendentemente da tutto, questo dovrebbe essere il motivo! Questo dovrebbe spingerci a fare nottata o ad alzarsi all’alba o a passare il tempo a fare ricerche o a perdere gli occhi davanti a un pc. Questo è il motivo!
Scrivere richiede anche un grande impegno emotivo, se non c’è questo trasporto, se non c’è questa scintilla simile a quella di un amore travolgente, allora anche buttare giù una singola riga sarà un peso e una tortura.
Mi rendo conto che l’Australia non è l’Italia, e ora come ora se potessi prenderei il primo aereo per Sidney. Però non dovrebbe essere importante. Dovrebbe essere importante solo il rispetto che dobbiamo a noi stessi, ai nostri personaggi e alle nostre storie. Non dovrebbe esserci nulla di più importante di questo.
Io credo, e ho sempre creduto, in una cosa fondamentale (chi mi conosce me lo ha spesso sentito dire), ovvero che secondo me un libro non esiste davvero finché non viene letto, che vive solo quando il lettore ci mette la sua parte, il suo 50%, che onora la sua metà del patto tra lettore e scrittore. Ho sempre considerato i lettori come una parte importante del processo di scrittura; loro vedono i “messaggi”, loro fanno vivere i personaggi, loro vivono la loro storia nel momento in cui leggono. Per questo quando come lettrice fallisco, non riuscendo a entrare in sintonia con un libro, difficilmente penso che sia colpa solo dell’autore.
Ma i primi a rispettare il tacito accordo che ci lega ai lettori dobbiamo essere noi, noi autori. Un’altra cosa che ripeto spesso è che se non siamo noi i primi a entusiasmarci, a divertirci, a mettere in gioco il cuore quando scriviamo, allora il lettore lo sentirà. Scrivere è comunicazione, io ti sto donando una storia, che è il più bel regalo che una persona possa fare ad un’altra, è il primo dono che un genitore fa al proprio figlio quando inizia a raccontare con quella frase magica “C’era una volta…”, ed è quella magia che si dovrebbe ripetere ogni volta. E la magia ha veramente poco a che fare col calcolo, dovrebbe avere a che fare col sogno e l’illusione.
Per questo ammiro Carole Wilkinson che non scrive un libro in più semplicemente perché i lettori lo vogliono e lo venderebbe, perché non tradisce se stessa, le sue idee, le sue storie e i suoi personaggi, perché scrive non per calcolo, ma per passione, perché sa che tutto quello che di buono verrà dalle sue idee sarà frutto di questo amore e della bontà stessa di queste idee.
Dopo tutto questo vorrei aggiungere un’altra cosa che mi ha fatto molto riflettere: Black Dog Books, l’editore australiano che pubblica Carole Wilkinson, è un editore indipendente! E mi è piaciuta molto anche una frase che c’è sul loro sito: “la nostra prospettiva è australiana, ma le nostre storie sono universali”.
Bhe, grande lezione di stile, direi.

QUESTO è… BUSHIDO

Raramente vengo colta dal famoso “blocco dello scrittore”, più che altro capita che venga colta da un’insoddisfazione cronica o che mi arrovelli inutilmente su un passaggio che nella mia testa è perfetto, ma sulla pagina non lo è affatto.
E di solito in questi casi… mi rivolgo al Bushido.
Musashi saprebbe cosa fare. In realtà Musashi ha spesso tutte le risposte.
E questa mattina mi sono svegliata con questa frase in testa: “Solo con la mente vuota si può comprendere il Bushido”. E dopo aver messo a soqquadro la mia libreria per cercare il libro dove potessi aver letto questa massima, mi sono affidata di nuovo a Musashi.
In realtà Musashi nel suo Libro dei Cinque Anelli, in particolare nel Libro del Vuoto, dice “Cercate di considerare la via come il vuoto, e il vuoto come la via. Nel vuoto non ci sono il bene e il male: c’è la saggezza, c’è il principio e c’è la via. La mente è il vuoto”.
Per cui, in effetti, sì, “solo con la mente vuota si può comprendere il Bushido”.
Così ho cercato di svuotare la mente, dopo averla riempita leggendo e vedendo, senza per altro arrivare a un risultato concreto.
Perché solo con la mente vuota si posso ottenere frasi come queste:
“Takezo giaceva tra i cadaveri. Ce n’erano migliaia attorno a lui” (questo è l’incipit di Musashi, di Eiji Yoshikawa) oppure “Genji era morto e non vi era alcuno in grado di prenderne il posto” (questo è l’incipit de La Signora della Barca di Shikibu Murasaki).
Non c’è spreco in queste frasi. Eppure c’è tutta la chiarezza di una pennellata nera sulla carta di riso.
Musashi dice anche che “Il ritmo esiste in tutte le cose” e “Non fate cose inutili”.
Per cui, svuoto la mente, prendo il ritmo e non faccio cose inutili
.

GLI INCONTRI COI RAGAZZI

Lo avevo promesso, poi ho saputo che i miei Kizu no Kuma erano pronti e sono stata un po’ sulle spine e con la testa altrove. Ma, come annunciato, eccomi qui a raccontare le impressioni, tutte positive, sui tre incontri che ho avuto con le classi seconde della scuola media di Samarate.

Innanzitutto devo dire che è stato molto piacevole e divertente, che i ragazzi si sono dimostrati interessati, hanno fatto tante domande, non solo sul fantasy, ma proprio sul mondo della scrittura e dell’editoria. Poi mi hanno aiutata a capire come vivono e vedono loro la lettura. Alcune cose mi hanno stupita, come il fatto che abbiano citato Geronimo Stilton e non Twilight. È venuto sempre fuori Eragon, ma pochissimo Licia Troisi o Il Signore degli Anelli. Hanno, purtroppo, confermato lo strapotere dei titoli stranieri su quelli italiani, ma mi ha fatto piacere che siano venuti fuori anche titoli come Geno o La bambina della sesta luna.

Quello che è evidente parlando coi ragazzi è che non è poi così vero che i giovanissimi non leggono o non sono interessati alla lettura. Certo, spesso sono venuti fuori titoli conosciuti più dai film (Harry Potter in testa), però, a parte qualcuno che proprio non legge, non li ho trovati così refrattari alla lettura come invece spesso le statistiche ci vogliono far credere. Quello che, purtroppo, rende reali quelle stesse statistiche è il fatto che, proprio quando sono ancora ragazzini (età delle medie), non riescono a trovare titoli che li guidino in quel passaggio tra la letteratura per l’infanzia e quella per adulti/ giovani-adulti. C’è una lacuna, in Italia più che all’estero, da questo punto di vista, che viene riempita o dai classici o da titoli stranieri. E se non riescono a trovare titoli che li appassionino poi, sì, che abbandonano la lettura.

Però per me è stato molto piacevole, perché li ho visto interessati, curiosi. La curiosità è la dote più grande, perché se non si prova curiosità per qualcosa, specie a quell’età, è anche difficile che ci si avvicini. Invece sono incuriositi.

Per cui piacevole e interessante. Utile, mi ha aiutata questa esperienza per portare avanti quelle riflessioni sulla narrativa per ragazzi nelle quali di tanto in tanto mi imbarco. Perché mi piacerebbe mettermi alla prova con qualcosa rivolto a un pubblico giovane, ma non è che mi posso svegliare alla mattina e dire “toh, oggi scrivo per ragazzi”.

Quindi è stato istruttivo, per me.

8-9-10 Febbraio: incontro con i ragazzi delle classi 2e della Scuola Media di Samarate

E chi lo avrebbe mai detto?

Incredibile, ma vero, a Febbraio andrò a parlare con dei ragazzi delle medie e non in una scuola qualsiasi, ma in quella che è stata a “mia” scuola media (quella con le pareti verde ospedale, anche se le superiori non sono state più originali col colore dei muri).

Non lo avrei mai pensato, per tanti motivi. Perché qui da me è difficilissimo organizzare “cose” (avrete notato che a presentare me ne vado spesso in giro), perché anche se ho frequentato lì e mia madre ci ha insegnato per anni non sono mai stata molto in contatto, perché non pensavo che avrei potuto parlare con dei ragazzi delle medie. Invece, eccomi qui, più o meno pronta a ben tre incontri con tre differenti classi tutte 2e, che verteranno sul genere fantasy.

Non è la prima volta che parlo con dei ragazzi a scuola, lo avevo già fatto, ma con dei ragazzi delle superiori (che saranno le prossime vittime, perché in programma c’è anche un incontro nella scuola superiore che ho frequentato, sul tema “scrivere un romanzo”), però è la prima volta che incontro studenti così giovani e, devo dire, sono emozionata, ma anche galvanizzata dalla cosa.

Uno dei “propositi per il futuro” è, senz’altro, provare a scrivere qualcosa per un pubblico più giovane.

Io ho questo rapporto conflittuale con la letteratura per ragazzi, per cui ne ho un profondo rispetto e ho stima per chi la pratica con serietà e capacità, ci sono dei romanzi per ragazzi che adoro e che rientrano senza dubbio nella lista dei miei preferiti, due dei miei editori preferiti in Italia fanno letteratura per ragazzi (Salani e Giunti), però capita anche spesso che mi ritrovi in difficoltà con questo genere di narrativa, proprio perché è molto difficile e rimango a volte perplessa di fronte alle scelte operate in questo settore o perché fatico a inquadrare il modo di pensare dei ragazzini.

Per cui credo che questi incontro saranno utilissimi anche per me, per cercare di capire come vivono i ragazzi più giovani il fantasy e che cosa voglio davvero da un romanzo.

Io, si sa, non sono del tutto a favore dei baby-scrittori, non penso, infatti, che per parlare ai ragazzi ci vogliano dei ragazzi, ma noto anche una certa difficoltà degli scrittori adulti di “mettersi nei panni” dei più giovani.

Ad esempio, io non capisco fin dove ci si possa spingere con la violenza. Se prendiamo una serie come Harry Potter dal mio punto di vista non è adatta, specie negli ultimi volumi, a un pubblico giovane, eppure è una serie di romanzi per ragazzi. E allora? C’è un gap tra ciò che noi, adulti o presunti tali, pensiamo possano comprendere i ragazzini e ciò che invece loro sono in grado realmente di assimilare.

Giocano a video game che probabilmente nessuno di noi metterebbe mai consapevolmente nelle loro mani. Guardano Dragon Ball all’ora di pranzo. Non dubito che seguano I Simpson molto più di me.

Quando è uscito il bando per il concorso della Piemme per il Battello a Vapore, ho cercato di farmi una cultura grazie alle schede e ai romanzi che mia madre, insegnante delle medie, ha in casa proprio di quella collana. Ebbene, mi sono sorpresa perché anche i testi della fascia d’età maggiore erano molto più infantili di quel che mi aspettassi. E mi sono posta il problema su fino a che punto mi potessi spingere per scrivere un romanzo indirizzato a quel pubblico. Difatti non l’ho fatto.

In un certo senso mi sono anche chiesta: ma questo è quello che leggono i ragazzi o è quello che gli adulti vorrebbero che leggessero?

Perché Twilight o un Licia Troisi del Mondo Emerso, sono adatti dai 16 anni in su, ma è indubbio che siano stati letti anche da ragazzi(e) molto più giovani. Però erano adatti?

Perché non abbiamo problemi se dei ragazzini leggono La Tregua o Anna Frank. Eppure non sono testi facili, non trattano argomenti leggeri e immediati. Eragon e seguenti sono romanzi con passaggi di battaglie e di morti, ma nessuno esita a considerarli testi per ragazzi.

Cioè, il mio dubbio è sempre stato un po’ questo: fino a che punto e con quali elementi posso definire un romanzo adatto a un pubblico giovane. E poi, attenzione, perché 7 anni non è uguale a 13 anni.

Per cui penso che questi incontri saranno una bella occasione di confronto per aiutarmi a capire.

È un ragionamento che ho fatto anche in questi giorni riguardo Kizu no Kuma. Nella catena del gruppo Terra di Altrove su aNobii, un lettore mi ha chiesto se sarebbe stato adatto a un bambino di 11 anni, nell’altra catena l’autrice Cristina Contilli ha notato la violenza della scena del massacro e ne è rimasta colpita.

Premettendo che fino adesso non mi sono mai messa di fronte al foglio bianco pensando che quello che scrivevo potesse andare in mano a un pubblico giovane, perché anche abbassando molto la soglia del target che mi pongo come riferimento non credo che scenderei mai sotto i 16 anni, tutto questo mi ha dato da pensare.

Certi elementi culturali del mondo che ho costruito probabilmente sono un po’ forti, ma fanno parte e derivano da una cultura e da una società che in qualche modo esigono e sono attraversati da una certa dose di durezza. Sinceramente, ho sempre pensato che il motivo per cui quello che scrivevo non fosse adatto a un pubblico giovane fosse un altro, fosse quello che, leggendo La Congrega Bianca, ha rilevato la PIEMME, ovvero uno stile troppo articolato, personaggi e storia troppo complessi, attraversati anche da un lato introspettivo molto forte.

Sono tutti ragionamenti di cui terrò conto nel momento in cui mi metterò alla prova (e potete scommettere che lo farò!) con un testo per ragazzi, perché voglio assolutamente provare, per me stessa, per vedere se sono capace e cosa riesco a tirare fuori.

MALEFICI PERSONAGGI ADORABILI

A volte preferirei non entusiasmarmi tanto per gli inquilini “virtuali” che compaiono alla mia porta.

L’altra settimana sono incappata nel bando di un concorso, il tema mi ha interessata e ho pensato a un personaggio e a una situazione per costruire il breve racconto.

Doveva finire lì.

Mettere giù qualche riga, quando terminerò il racconto cui sto lavorando ora, partecipare al concorso e fine delle trasmissioni.

Invece no.

Mi piace questo personaggio. Anzi, questi personaggi, anche se non so quanto si possa definire “personaggio” un oggetto inanimato. Uffa. Mi sono lasciata coinvolgere nei fatti di questo tizio e adesso ho come l’impressione che me lo porterò dietro ben più a lungo del dannato concorso.

Grazie! Mettiti in coda e vedi di non stressare.

Per carità, io sono contenta: ambientazione mai sperimentata da me, situazioni da inventare, alcuni aspetti su cui documentarsi… è tutto molto stimolante, ma… HO POCO TEMPO! E troppe cose da fare. Per cui, ora come ora, cercherò di non prestargli troppa attenzione. Anche se sono molto curiosa.

Il problema con i personaggi è che all’inizio è come essere innamorati… sono tutti cuoricini di zucchero e non vorresti mai staccartene, sei tutta su di giri e vorresti sapere tutto del personaggio di turno.

Poi un po’ passa. Però all’inizio ti fanno perdere proprio l’uso della ragione.

FACEBOOK, CROCE E DELIZIA

È vero, da quando uso Facebook ho tralasciato un po’ l’aggiornamento del blog. Ma Facebook è immediato, se non si hanno grandi novità da segnalare basta una frase: “che cosa stai facendo oggi? Scrivo, leggo, mi organizzo”. Un post di una o poche frasi non avrebbe senso. Anche aNobii ha contribuito: con pochi segni e magari un commento breve prendo nota delle mie impressioni sui libri che leggo, ne tengo memoria e condivido esperienze di lettura con gli altri utenti.

Tuttavia questa è rimane la mia casa, per cui è doveroso, volendo fare un punto della situazione, aggiornarlo come si deve, con qualcosa di più di uno sfogo, di un commento e qualche altro elemento.

Questo è uno spazio personale in cui mi racconto, anche perché i blog nascono essenzialmente come diari online. Per cui racconterò un po’ di me e del punto in cui sto adesso.

Si parla di lettura:

sommersa dai libri!

Quasi 500 libri da iniziare. Panico. Una coda di lettura corposa sui libri della biblioteca, fantasy italiani che scalpitano sul mio comodino, scambi e nuovi acquisti. Ma non sono mai sazia!

A volte inciampo in cose che proprio mi irritano, come è accaduto con Lisa J. Smith, ma in generale sto passando un’estate di letture interessanti. Anche grazie a mia sorella che in biblioteca ha fatto il pieno di romanzi storici, aiutandomi così a spezzare la routine del fantasy-fantastico.

Inoltre, grazie ad aNobii, sto scambiando e in qualche caso vendendo alcuni libri. Ci sono, nella mia libreria, libri scambiabili, alcuni in modo definitivo, altri in modo temporaneo. Alcuni perché proprio non mi son piaciuti, altri perché non sento la necessità di tenerli. Altri ancora invece, indipendentemente dal fatto che siano piaciuti o meno a me, sono libri di autori italiani e per questo li ho “messi in circolo” così da permettere ad altre persone di leggerli e conoscerli.

Se qualcuno dovesse essere interessato… contattatemi su aNobii.

Si parla di scrittura:

scrivo a pieno ritmo, o quasi.

Come forse avrete notato dai box “vetrina” “prossimamente”, ci saranno presto delle novità (ovvero delle nuove pubblicazioni). Tutte cose di cui parlerò a tempo debito e diffusamente, tanto che arriverete a non sopportami più, perché in entrambi i casi si tratta di esperienze… inaspettate, che ovviamente ho cercato, ma sono state per me una sorpresa, entrambe, anche se per motivi differenti.

Così, galvanizzata dalle novità che mi attendono, mi sono buttata sulla scrittura con rinnovato ardore creativo.

Sto lavorando soprattutto su racconti e testi brevi, al momento. In particolare il racconto sul tema “Il Castello” che avevo pensato per il concorso de “La Penna Blu” sta procedendo bene e ben oltre i 27000 caratteri entro i quali sarei dovuta rimanere se avessi fatto in tempo a finirlo per il concorso. Sono in dirittura d’arrivo, anche se si è un tantino spostata rispetto al piano originale.

Dopo di che… beh, dopo di che i progetti non mancano e non solo nel campo del fantasy orientale. Per cui attendo con ansia le ferie per potermi dedicare alla scrittura ancor più assiduamente e veder così conclusi alcuni progetti. E preparare testi per un paio di concorsi ai quali vorrei iscrivermi a settembre… vedremo.

Si parla di… cose varie:

sto cercando di organizzarmi.

Promuovere un libro richiede una certa dose di impegno anche da parte dell’autore e, vista la prossima uscita di Werewolf, mi sto dando da fare per prendere contatti per organizzare presentazioni. Non è facile, ma per i prossimi libri in uscita (forte dell’esperienza fatta in questi anni), spero di potermi dare da fare sempre di più per far conoscere i miei testi.

A volte mi domando chi me lo faccia fare. A volte è un po’ pesante, specie quando non ottieni risposte o ti chiudono la porta (spesso virtuale) in faccia. Soprattutto perché, pare paradossale, ma le librerie non sempre sono disponibili ad ascoltare autori giovani e poco noti. Uno deve sempre andare a caccia di una possibilità: prima con gli editori, poi coi librai, poi coi lettori… è una lotta continua e a volte è logorante. Però poi penso alle esperienze di questo ultimo anno, agli incontri coi lettori e con gli altri autori, alle amicizie create, alle collaborazioni, e allora mi tornano sia la voglia che l’energia per rimettermi al lavoro.

Anche se un po’ di vacanza non mi farebbe male… di quelle con sole, mare, ozio e ombrellino nel drink. Invece mi aspetta una settimana in più di lavoro.

LA NARRATIVA FANTASTICA

per chi mi conosce un po’ o per coloro che hanno avuto la (s)fortuna di essere presenti a qualche mia presentazione, non sarà una sorpresa trovarmi a discutere di questioni di “critica e storia della letteratura” legate al fantastico.

Del resto è una piccola “deformazione professionale” quella che mi porta ad interessarmi di questi argomenti e a cercare di comprendere meglio denominazioni, classificazioni, caratteristiche e generi di ciò che leggo e scrivo.

A qualcuno potrà non interessare conoscere la storia del genere che ama leggere oppure sapere quale è stata la sua evoluzione. A me, invece, appassiona molto capire quello che leggo e quello che scrivo, inserendolo in un contesto storico-critico.

Per questo, oltre ai saggi che già avevo letto in passato (Todorov, imprescindibile per chiunque voglia avvicinarsi allo studio della letteratura fantastica, ma anche testi di Calvino, Cesarani, Rodari…), ho deciso di consultare qualche saggio per approfondire la questione.

In particolare il testo, edito da Laterza nel 1993, dal titolo Il punto su: La Letteratura Fantastica, di Silvia Albertazzi.

E questo testo di ha portata a fare alcune riflessioni e un passo avanti nella comprensione del vasto universo della letteratura fantastica.

Anni fa, tramite altri testi di letteratura, avevo cercato di riordinare le idee sull’argomento in questo modo: con termine narrativa fantastica si intendono tutti quei generi letterari nei quali l’elemento fantastico è preponderante rispetto a quello reale e al suo interno si sono sviluppati sotto-generi differenti, quali la fantasy o la fantascienza.

Ora, premettendo che è difficile definire la “narrativa fantastica”, tanto che dagli anni ’70 ad oggi molti studiosi di letteratura si sono interessati all’argomento e non hanno ancora trovato una definizione univoca, il saggio della Albertazzi mi ha portata a fare una riflessione sul modello di classificazione e sui tipi di narrativa fantastica che fino a questo momento avevo considerato validi.

Ovvero, è risaputo che per me è molto importante riconoscere il legame tra fantasy ed epica e lo sviluppo storico che questo genere di narrativa ha avuto dall’epica antica ai giorni nostri. Tuttavia ho fin ora considerato la fantasy come un sotto-genere del fantastico, inserendola in quella “storia della letteratura fantastica” che ho idealmente costruito con lo studio della letteratura.

In realtà non è così. Perché la fantasy, in effetti (come mi ha suggerito la Albertazzi) ha più legami con la fiaba e la favola, che non con le radici del fantastico puro. Dice l’autrice:

[pg. 12] “il fantastico… non va pertanto confuso con la fiaba, che ammette la sicurezza della magia e non si lascia di conseguenza sorprendere dal prodigio.

Al contrario della favola, il fantastico ha le sue radici in questo mondo, dove la comparsa di un elemento inspiegabile o incongruo porta alla confusione e a uno sbalordimento sconosciuti nell’universo delle fate e dei maghi. Niente è impossibile nella fiaba, mentre proprio sull’apparizione improvvisa di quello che era ritenuto impossibile si fonda il fantastico.”

Un discorso analogo lo si potrebbe applicare alla fantasy e, infatti, continua la Albertazzi:

[pg. 13] “Per le medesime ragioni, anche le narrazioni per adulti ambientate in qualche mondo – o soprammondo – assolutamente dissimile dal reale, che vanno sotto il nome di fantasy, non sono da ascriversi al fantastico propriamente detto. Situate in un lontano passato […] o in un iperbolico futuro […], queste storie avulse da qualsiasi collegamento con la realtà quotidiana elevano l’impossibile a unica dimensione narrativa e sfidano con ciò il lettore a un gioco puramente intellettuale. Da non confondersi con la fiaba o la stessa fantascienza, la fantasy presuppone la possibilità che personaggi umani vengano in contatto con elementi soprannaturali, violando apertamente le norme della plausibilità…”.

È interessante, perché in effetti è riconoscibile un percorso che lega l’epica, i miti antichi alle favole e alle tradizioni popolari ai modelli della fantasy che conosciamo. Mentre diverse sono le esperienze fondanti e i modelli della narrativa fantastica che ha dato origine poi al fantastico puro, al gotico, all’horror, al racconta fantastico-romantico.

Sono percorsi paralleli, perché entrambi prevedono la presenza di elementi “non reali” nella narrazione, ma seguendo il ragionamento della Albertazzi mi è difficile considerare la fantasy come uno dei generi del fantastico; piuttosto sarei propensa a vederla come un’esperienza indipendente che, in alcuni momenti, è andata a sfiorare il fantastico propriamente detto. Così come la fantascienza [pg. 14] “…che spinge all’estremo i poteri e le conquiste della scienza, fino a oltrepassare il limite della verosimiglianza.”

Il saggio della Albertazzi prosegue poi segnalando le tappe della storia della narrativa fantastica e definendo nei secoli fra il XVIII e il XIX il suo punto d’origine.

È, quindi, possibile tracciare una storia della narrativa fantastica, riconoscerne gli autori più significativi, segnalare i testi fondamentali e seguirne lo sviluppo fino ai giorni nostri nelle sue diverse forme. Scoprendo anche una vasta letteratura fantastica italiana.   

CONSIGLI A UN GIOVANE SCRITTORE… CHE RICEVE UNA PROPOSTA EDITORIALE

Non penso che ci siano regole particolari da seguire nel momento in cui si riceve una proposta. Credo che ognuno debba pensare molto bene e molto seriamente a ciò che vuole ottenere dalla pubblicazione, a quale sia il suo scopo. Anzi, penso che queste riflessioni debbano essere fatte prima di spedire i testi, nel momento in cui si scelgono gli editori da contattare. Nessuno può scegliere al posto dell’autore, solo lui/lei può decidere del destino del proprio testo. Per cui, semplicemente e con buon senso, si dovrebbe pensare realisticamente a ciò che si vuole fare.

Io non sono nemmeno una di quelle persone che tempesta contro gli editori a pagamento e che scoraggia a pubblicare con chi chiede un contributo. Suggerisco, in questi casi, di approfondire un po’ la conoscenza del fenomeno, di capire se il contributo è chiesto perché “c’è sotto qualcosa” (ad esempio una distribuzione inesistente, che significa, in fin dei conti, che l’editore vive dei contributi e non è effettivamente interessato a vendere il vostro libro) oppure se è chiesto (magari in termini di un numero limitato di copie. Limitato, mi raccomando, non siete voi a dovervi accollare la distribuzione) veramente come sostegno al progetto, che però poi può muoversi sulle sue gambe. Tanto dipende anche dalla cifra del contributo. Insomma, come hanno detto anche alcuni editori in interviste apparse online, il contributo non è sempre sinonimo di truffa, ci sono spesso delle motivazioni validissime dietro a questa richiesta. Capisco che il mondo dell’editoria possa apparire una vasca di squali agli occhi dei neofiti (e anche di chi un po’ ci ha navigato), però con un po’ di senso pratico e, ripeto, buon senso si può navigare a vista e imparare a stare a galla.

Se devo essere sincera quello che mi sento di sconsigliare, veramente, è l’affidarsi a stampatori. Tra un piccolo editore e uno stampatore ci sono delle differenze ed io preferisco un piccolo editore, che però sia un editore, piuttosto che stampare il mio libro e non avere alcuna altra garanzia di sorta.

Diverso è il discorso dell’autoproduzione che, sentendo alcuni autori che l’hanno provata, lascia una maggiore libertà, anche se, come è ovvio, richiede un impegno notevole poiché è l’autore che deve seguire tutte le fasi della vita del libro.

Però anche in questi due casi tutto sta alle scelte e alle possibilità, non solo economiche, ma anche di tempo e conoscenze, dell’autore stesso.

Ma parlavamo di autori che ricevono una proposta editoriale.

Signori e signore… se posso permettermi, io consiglierei fondamentalmente tre cose nel momento in cui arriva una proposta:

         far valutare il contratto da un legale;

         sperimentare la distribuzione dell’editore andando a cercare di libri effettivamente nelle librerie e magari provando a chiedere a un libraio di ordinarli;

         leggere un romanzo pubblicato dall’editore (anche questa, magari, sarebbe una cosa da fare anche prima di spedire il testo, ma se ricevete una proposta almeno andate a guardare come sono i testi per avere anche un’idea di come sarebbe il vostro se firmaste il contratto);

Pochi semplici consigli, dettati dal buon senso, insomma.

Ricordare che editing, distribuzione e promozione del testo sono fasi importanti del processo di pubblicazione e che la firma del contratto non è il punto d’arrivo, ma l’inizio di un percorso. I libri non si vendono da soli, per cui se non ci mettete un po’ del vostro… difficilmente riuscire ad arrivare a un pubblico più vasto della cerchia di amici e parenti.

Tenete i piedi per terra. Pubblicare con un grande editore è un sogno concesso a pochissimi (non credete alle favole che si raccontano in rete!), mentre pubblicare con un editore medio-piccolo richiede da parte vostra impegno, perseveranza e pazienza, ma può dare comunque delle soddisfazioni.

I bocca al lupo a tutti quanti.